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Un saggio che documenta un periodo storico di grandissima creatività generale, mettendo in relazione la vicenda dei vari gruppi di Miles Davis con quanto di più innovativo si sta muovendo intorno, tra anni Sessanta e Settanta, dall’epicentro di New York alle ripercussioni globali. La storia inizia con la fine del secondo quintetto di Davis (Tony Williams, Ron Carter, Herbie Hancock, Wayne Shorter) e l’uscita dei due dischi che sanciscono l’entrata del trombettista in un nuovo mondo sonoro, dove il suo jazz esplora territori sonori inediti: In a Silent Way e Bitches Brew. Il libro indaga l’originalità del percorso compiuto da Miles in questa transizione elettrica successiva e lo fa paragonando le prassi esecutive, i repertori e le attività dei gruppi paralleli imparentati al Lost Quintet, quelli che l’autore definisce “i figli di Ornette Coleman”: Circle e Revolutionary Ensemble.
Il Quintetto Perduto (con Wayne Shorter ai sassofoni, Chick Corea al pianoforte e alle tastiere, Dave Holland al contrabbasso e basso elettrico, Jack DeJohnette alla batteria) non ha avuto ripercussioni importanti in sala d’incisione. Il grande merito della ricostruzione di questo periodo è quello di superare vecchie diatribe sull’opera del trombettista, uscendo da categorie come jazz commerciale-free che applicate alla sua opera sono insostenibili.
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1968, anno magico della cultura giovanile: il grande trombettista Miles Davis trasforma il proprio quintetto jazz spingendolo verso il funky e altri generi di consumo. Nel giro di pochi mesi il gruppo (con Wayne Shorter al sax) cambia tutta la sezione ritmica, ma in questa nuova veste non entrerà mai in studio d’incisione. La critica lo chiama il Quintetto Perduto: Chick Corea è al piano elettrico, Dave Holland ai bassi, Jack DeJohnette alla batteria. Il critico Bob Gluck ne esplora la musica, che si rivela un amalgama straordinario di elettronica, ritmi metropolitani, interazione collettiva e sperimentazione pura. Gluck va oltre, mostrando il tessuto connettivo fra quelle idee e le nuove avanguardie. Corea e Holland uscirono dal quintetto per formare il gruppo Circle con il sassofonista Anthony Braxton; Braxton e DeJohnette erano membri di un’associazione di sperimentatori da cui nacque un altro trio da riscoprire, il Revolutionary Ensemble. La musica d’allora era tutta percorsa da aneliti rivoluzionari.
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L’aspetto più intrigante del saggio di Bob Gluck va ricercato nelle “altre rivoluzioni” a cui si accenna in maniera sibillina nel finale del titolo. Obbligato ad avviare il racconto a partire dal prima e dal dopo Bitches Brew, nonché dai live del trombettista compresi tra il 1968 e il 1970, Gluck al terzo capitolo è già sulle tracce di Anthony Braxton e Leroy Jenkins, figure di spicco dell’avanguardia jazzistica e rispettivamente animatori di due significative formazioni, Circle e Revolutionary Ensemble. Nei Circle, oltre a Braxton e Barry Altschul, non passa inosservata la presenza di Chick Corea e Dave Holland, che con Jack DeJohnette e Wayne Shorter costituirono il celebre Quintetto Perduto di Davis, documentato da incisioni live non ufficiali (Live In Rome & Copenhagen 1969). Il quadro degli eventi descritto da Gluck è dettagliatissimo e costituito sia di informazioni di prima mano sia dal vaglio accurato dell’esteso apparato bibliografico.