Cinema: Carlo Verdone

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Malinconia. “La malinconia è un mio tratto caratteriale. Quando sono da solo, magari in Sabina, circondato dal silenzio, dai libri e dalla tranquillità, nel ricordo scorre un film meraviglioso”.

1977, Roma, Teatro Alberichino. “E’ stato il mio esordio. Il critico Franco Cordelli scrisse un articolo entusiasta. Iniziò tutto lì. Lo spettacolo non avrebbe dovuto neanche prendere il via. Mancava il denaro e io mi ero indebitato per 200.000 lire, una cifra enorme. Daniele Formica, il mio compagno d’avventura, avrebbe dovuto dividere i costi con me, ma si tirò indietro a pochi giorni dal debutto. Anni dopo venne a chiedermi scusa sul set di Bianco, Rosso e Verdone. Non ce n’era bisogno. Ho sempre considerato il rancore il più inutile dei sentimenti”.

Coronavirus. “Questa pandemia condurrà gli italiani a fare delle riflessioni. Ci sarà meno arroganza verso il prossimo, e una disciplina maggiore verso sé stessi e verso gli altri. Certamente poterà anche delle forme di depressione legate al lavoro, a problemi relazionali dovuti alla lunga quarantena. Sarà necessario avere estrema cura del nostro pianeta dal punto di vista ambientale”.

Carriera. “Dopo Bianco, Rosso e Verdone, che incassò meno di Un sacco bello, c’era chi pensava che fossi finito. Pensavo di tornare a studiare Storia delle religioni all’università, di diventare un ricercatore. In quei giorni mi chiamò Mario Cecchi Gori, il più grande produttore italiano dell’epoca. Io non volevo più fare i film con i personaggi. E per la seconda volta iniziò tutto”.

Attrici. “Sono molto legato a Margherita Buy. Insieme abbiamo fatto Maledetto il giorno che t’ho incontrato. Anche a Claudia Gerini, con cui ho fatto Viaggi di nozze e Sono Pazzo di Iris Blond. E’ nella donna in generale, nella sua capacità di mettere in crisi il mio personaggio, che risiede la forza di un mio film. Non sarei niente senza un personaggio femminile. Come nella vita”.

Passione. “La mia passione per il cinema è nata grazie a Isabella Rossellini, mia amica fin dall’adolescenza, e grazie alle telefonate che Isabella faceva a un suo fidanzato all’estero. Telefonate costosissime che la costrinsero a vendere una sua cinepresa super8 per ottantamila lire. Io comprai quella cinepresa. Cominciai a girare film sperimentali, sull’onda dell’underground americano. Isabella fece vedere questi miei cortometraggi a suo padre (il regista Roberto Rossellini). Mi disse che si vedeva che mi piaceva molto Antonioni”. Ma io non avevo visto nemmeno un film di Antonioni. Rossellini mi incoraggiò a fare domanda per entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia. Fui accettato. E da allora ho studiato tanto cinema importante, prima di cominciare a fare le mie piccole commedie”.

“Mio padre è stato il primo docente universitario di cinema in Italia. Era esperto di Futurismo e in generale di cinema italiano. Amava la pittura, il cinema, l’arte in generale. Si era fatto da solo, studiando e lavorando, tirando su una famiglia con il magro stipendio di giornalista free lance e di ricercatore universitario. Un uomo che ha amato la cultura, e che ha avuto quasi la religione del lavoro instancabile”.

“Alle elementari mio padre Mario prese a portarci a vedere i film di Jerry Lewis, i western, i classici d’azione. Solo più avanti compresi che era stato lui a creare la cattedra di Storia e critica del cinema in Italia. Come racconto nel libro “La casa sopra i portici”, da noi erano ospiti abituali Federico Fellini come Vittorio De Sica. Negli anni Sessanta, con la tessera del cineclub, sono diventato uno spettatore onnivoro, dall’underground americano ad Alberto Sordi”.

Federico Fellini. “Era un poeta, aveva una creatività tutta sua. Sono contento di averlo conosciuto tramite mio padre, e del rapporto che ho avuto con lui”.

Sergio Leone. “E’ stato importantissimo. Dopo avermi visto in televisione ha capito il mio potenziale e mi ha fatto debuttare al cinema. Ha prodotto “Un sacco bello” che è stato l’inizio di tutto”.

Alberto Sordi. “È stato un gigante della commedia in bianco e nero, da I vitelloni a Lo sceicco bianco, un attore unico, lontano dalle accademie. Nel privato era un uomo schivo. Viveva nelle sue stanze come un monaco in un monastero. Abbiamo condiviso una grande amicizia. In casa non aveva fotografie dei colleghi, solo dei famigliari e dei Papi, a parte uno scatto di Soraya. Ogni mattina lanciava una rosa a una statua della Madonna nel suo giardino”.

Giovani. “Mi piace stare a contatto con i giovani. Accetto volentieri gli inviti che arrivano dalle Università e dai Licei. Trasmetto qualcosa ai ragazzi, e allo stesso tempo imparo qualcosa da loro”.

Borotalco. “Con Borotalco ho dimostrato che non ero solo un virtuoso dei film di personaggi come Un sacco bello. Potevo reggere un unico ruolo per tutta la trama. Vincemmo cinque David di Donatello. Compagni di scuola, del 1988, è stato la dimostrazione che potevo essere un vero regista, dirigendo oltre venti attori in interni. Ho saputo valorizzare al meglio i miei attori e soprattutto le mie attrici, da Claudia Gerini a Margherita Buy, passando per Asia Argento”.

 

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