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La libreria di Radio Tolfa Europa: L’America in automobile (Georges Simenon)

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(qlibri.it)
Nell’ottobre del 1945 Georges Simenon sbarca a New York, ansioso di lasciarsi alle spalle le turbolenze degli anni di guerra, le accuse di collaborazionismo e le minacce di epurazione. Con la moglie Tigy e il figlio Marc si stabilisce in Canada, nel Nouveau-Brunswick, ma è agli Stati Uniti che guarda. E parte al volante di una Chevrolet per un viaggio di cinquemila chilometri, che dal Maine lo porterà sino a Sarasota, sul Golfo del Messico. Ad attirarlo non sono le città (anche se confesserà che a New York si sente perfettamente a suo agio) ma la gente e “i piccoli particolari della quotidianità”. Finirà per essere conquistato dalla “forte tensione verso l’allegria e la gioia di vivere” che sprigionano le semplici ed essenziali case americane, dalla cordialità che regola i rapporti di lavoro, dalla fiducia in sé stessi che le scuole sanno inculcare negli studenti, dalla squisita cortesia degli abitanti del Sud.

(ilfoglio.it)
Georges Simenon vuole dare un’immagine “intima” degli ambienti, del paese che sta attraversando, della città in cui sta vivendo. A bordo di  una Chevrolet parte dal Maine e arriva al Golfo del Messico in quello che lui chiama “un banalissimo viaggio”, ma che è l’affresco fatto da un uomo curioso, capace di cogliere sfumature nelle cose apparentemente più insipide attraverso l’America degli anni ’40.

Guerra finita, l’America è allora a livello tecnologico molto più avanti dell’Europa ancora piena di montagne di detriti. Ci sono i frigoriferi, c’è l’aria condizionata. Simenon adora il sud, i gentiluomini e la natura, adora una nazione dove è lo stato al servizio dei cittadini e non viceversa. Un paese dove “nessuno si vergogna del proprio lavoro, qualunque esso sia”. Un paese dove “il bambino è re, il giovane è re”. Un paese dove “il buonumore è una misura di salute pubblica”.

Quella di Simenon in America è quasi una fuga. Le accuse di collaborazionismo potrebbero colpirlo come stanno colpendo altri autori e intellettuali. L’America degli anni Quaranta è un posto sicuro. Simenon è a Baltimora, in Connecticut, a New York, a Miami. Quest’amore che lui condivide per il continente americano, e per la sua gente, è anche un modo per rimproverare l’Europa. Vede nel popolo statunitense un grande ottimismo. Una delle regole nazionali, dice Simenon, è non dimenticarsi che qui “ognuno ha il diritto di pensarla direttamente da voi, e che il contraddittorio è salutare, stimolante, che una belle lite, anche quando ne usciamo con un braccio rotto o con un occhio nero, non è poi così male, perché ci insegna a vivere”.

(gliamantideilibri.it)
Simenon scrive così del suo viaggio on the road in America: “Non vi aspettate un’avventura da esploratore. Il mio è stato solo un banalissimo viaggio. Ma è esattamente questo che vorrei raccontare, giorno per giorno, senza abbellimenti, in modo semplice, perché mi sembra che così facendo potrei dare un’immagine più intima di un paese su cui c’è così tanto da dire che si potrebbe non esaurire mai l’argomento”. Simenon prende appunti su tutto. Annota anche il prezzo della benzina, di un pranzo o di una camera. Simenon attraversa l’America da Sud a Nord e non nasconde il suo amore per il Sud di cui apprezza la natura e le persone. Qui racconta di aver incontrato autentici gentiluomini. In America scriverà alcuni importanti romanzi duri. Il 19 marzo 1955 Simenon lascia definitivamente l’America. Leggendo questi suoi appunti possiamo dedurre che gli anni passati sul suolo americano saranno sempre per lui un ricordo meraviglioso. Lui stesso definirà il periodo americano la tappa più importante della sua vita.

(pulplibri.it)
Dopo lo sbarco a New York, ottobre 1945, lo scrittore belga desidera lasciarsi alle spalle le minacce belliche e personali, seccature famigliari comprese. Per dieci anni Simenon rimarrà in quel mondo che non manca di affascinarlo, i cui dettagli, immagini e atmosfere si riversano nei romanzi di ambientazione americana. Dopo aver girovagato per i diversi Stati, tornò nel vecchio continente. Ci restano questi scritti, che portano ai lettori il perfetto odore dell’America di quegli anni post-bellici.

L’incantamento che trapassa lo sguardo di Simenon fa capire la profonda differenza fra le civiltà del Vecchio Continente e del Nuovo Continente, quest’ultimo in preda alla frenesia di una tradizione creata lì per lì sulla base di “priorità” che comprendono automobili dove ciò che più colpisce è la presenza di autoradio e condizionatore. Simenon attraversa paesaggi dove le strade sono quasi prive di segnaletica, questa è l’impressione che gli dà l’antica Route 1 dove circolano vetture che viaggiano a velocità ridotta. Le case, quasi tutte in legno, a Simenon sembrano giocattoli, circondate da prati e nient’altro, i negozi sono tutti uguali perché appartenenti a “catene”, le stazioni di servizio ricolme di Coca Cola, ice cream e caramelle multicolori, ristoranti zero ma chioschetti dove si viene serviti senza bisogno di scendere dalla macchina.

Fa sorridere lo stupore misto a sconcerto dello scrittore di fronte a stili di vita lontani ancora anni-luce dalla vecchia Europa. Proseguendo da nord a sud, il paesaggio muta profondamente, le strade si allargano in multi-corsia dove la Chevrolet si trova incastrata fra migliaia di auto che si muovono all’unisono ed è quasi impossibile svoltare per tempo verso l’uscita prevista. Le grandi città sono in minoranza rispetto ai piccoli centri e alle fattorie disperse nelle grandi pianure. Simenon si scopre ad adorare le cosiddette cabins, soluzioni abitative temporanee linde ed efficienti. A New York Simenon prova ammirazione per la regolarità delle strade a scacchiera dove ritiene impossibile perdersi. Sentirsi a proprio agio è semplice, ci sono quartieri per ogni “razza”. Non bisogna stupirsi per vocaboli come quello di “negro” una volta raggiunti gli Stati del Sud. Siamo nel 1946. Simenon descrive le grosse differenze di status fra bianchi e neri. Ai lati del suo passaggio sono sempre lì i famigerati campi di cotone. È il paese di “Via col vento”. Simenon si accorge che alle pompe di benzina l’addetto non è un bianco ma un nero. Grande delusione per la mancanza del vero tabacco del Virginia, interamente comprato dalle multinazionali concorrenti.

Dagli orsi del Nord al “tropico” di Miami, la “Costa Azzurra americana”, il salto è notevole, i cartelloni turistici sono immensi e pittoreschi, coccodrilli e acquari sono ovunque, così come miliardari annoiati dispersi tra palme e noci di cocco nei viali larghi e lunghi come gli Champs-Élisées. Simenon riempie i cinquemila chilometri attraversati di uno stato d’ammirazione continuo, ancora non mediato dalle cautele e perplessità che sarebbero cresciute in epoche posteriori: a lui piacciono le comodità offerte, pur con differenze, in ogni Stato degli USA, una sorta di voluttà perenne della vita americana che lo porta a radicarsi per molti anni in una terra dove si può ricominciare da zero a ogni trasloco, senza preoccuparsi di granché, tanto meno di Henriette che detestava la vita “dissoluta” del figlio Georges.

(italiaoggi.it)
Come in tutti i suoi libri, dove l’ambientazione e lo sfondo (le strade, gli arredi delle case, i bistrot, il menù dei ristoranti, il colore dei vini e le bancarelle dei mercati, l’aspetto delle pipe, il profumo del tabacco) sono protagonisti della storia al pari dei personaggi, anche L’America in automobile è un libro di personaggi, protagonisti Simenon e famiglia, ma al centro della scena c’è lo sfondo, l’ambientazione. Simenon mostra stupore, ma anche un’ingenua, beffarda ammirazione per i costumi americani.

Nell’America del reportage automobilistico ci sono: le minestre in scatola, le automobili tutte eguali, i prati verdissimi e coloratissimi davanti alle casette unifamiliari allineate come soldati in parata da cartone animato, i colori accesi della frutta e delle verdure, le cittadine di poche anime in cui si possono bere alcolici e, dieci miglia più in là, quelle in cui bere è proibito, cittadine puritane, sobborghi popolati di gangster, palazzi dei miliardari, caffetterie in cui si mangia davanti a un bancone luccicante, piantagioni del Sud coi loro negri indolenti, e poi riserve indiane, immensi laghi, la frenesia di Broadway e di Wall Street.

 

 

 

 

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