Bruce Springsteen

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La religione. “Ho avuto un’educazione cattolica, e dunque sarò sempre cattolico. Lo si capisce anche dalla mia musica. Ho trascorso otto anni della mia vita in una scuola cattolica. Tutte le mattine sono stato indottrinato, e non lo dico solo in senso negativo. Per un bambino quello è un mondo poetico, e anche molto drammatico”.

La politica e spiritualità. “La musica è la mia espressione migliore, sia politica che spirituale. Non sono mai polemico o schierato. Voglio solo raccontare come vive la gente. Le mie canzoni si ispirano ai discorsi che si fanno la sera in cucina, con la famiglia, dopo una giornata di lavoro. Sono vita vera. Non sono un politico, ma i problemi della società americana sono evidenti. Negli ultimi trent’anni la forbice tra chi ha e chi non ha si è allargata a dismisura. Questo non smette di indignarmi”.

 

La band. “Il nostro show non è pianificato. Non abbiamo luci né scenografie che ci vincolano. Dobbiamo essere in grado di suonare per almeno tre ore. Posso decidere quale canzone suonare in pochi secondi. Batterista e bassista leggono il mio labiale e trascinano gli atri musicisti. Ogni show è diverso dall’altro”.

La depressione. “L’ingresso nel tunnel risale al 1982. Ero impreparato ad affrontare il successo mondiale che era arrivato dopo anni di gavetta. Avevo paura di tutto, disgusto per me stesso, avversione nei miei confronti. I miei problemi non erano così evidenti come quelli di chi fa uso di droghe. C’è stato un momento in cui ho anche pensato di farla finita”. “Mio padre era uno che parlava poco. Era dura riuscire ad avere una conversazione con lui. Le sofferenze dei miei genitori hanno segnato la mia vita. Questi dolori mi dilaniano ancora e lo faranno sempre. Quelle piaghe restano. Io cerco di trasformarle in un linguaggio, in musica”.

 

 

 

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