“Non esiste artista che non sia stato ispirato da qualcuno venuto prima di lui. Lo hanno ammesso anche Paul McCartney, Rolling Stones, Joe Cocker. Il bello è essere ispirati da qualcuno e poi trasformarlo in qualcosa di tuo. Oscar Wilde diceva che il mestierante prende in prestito, mentre il genio lo fa suo”.
“Il blues è nostalgia, malinconia creativa, un lamento che si può trasformare in preghiera, ballo o sesso. Il blues mi ha aiutato a combattere la mia depressione, mi ha salvato la vita dopo la separazione da mia moglie. È stata durissima, sei mesi di Prozac, non uscivo di casa, avevo attacchi di panico anche sul palco. Quando riguardo i filmati, vedo che mi aggrappavo al chitarrista, a una corista. Sembrava studiato, ma stavo davvero crollando. Poi, dopo tre o quattro brani, cominciavo a stare meglio e non volevo più venire giù dal palco, perché quando scende l’adrenalina sei punto e daccapo. Il tour di Miserere l’ho fatto tutto così”.
“A Roncocesi alla radio, alla TV, alla fiera del paese si sentiva la musica di allora: Gianni Morandi, Mina, Adriano Celentano. C’era anche qualche gruppo che ho amato, come i Nomadi e l’Equipe 84. Poi ovviamente i Rolling Stones e i Beatles. Mi sono innamorato del rythm & blues quando ho scoperto Otis Redding. Mi è piaciuto subito quel modo di cantare, quella voce piena di tenerezza ma anche di rabbia. C’è pianto e allegria. Come in Ray Charles, che è stato il mio idolo e come voce lo è ancora. Joe Cocker mi ha colpito ai tempi di Woodstock, soprattutto perché era un bianco che cantava con la voce e l’anima di un nero”.