“Mia madre mi bullizzava. Diceva che ero sciocco e che ero grasso. La seconda cosa era vera. Ora lo chiamano body shaming. Ho letto la storia di Tiziano Ferro, e mi è parso che avesse copiato la mia vita. Da mio padre ho preso la vitalità, l’arguzia, lo spirito ribelle. E un poco anche il dono di prevedere il futuro. Mi accorgo di cose di cui altri non si accorgono”.
“Lucio Dalla mi ha salvato la vita, al tempo della mia separazione. È stato lui a capire che mi dovevo allontanare da Roma.Per due anni vissi al castello di Carimate, in Brianza, dove venivano i più grandi artisti italiani a incidere i loro dischi, Pino Daniele, i Pooh, Fabrizio De André. Con Fabrizio passavamo notti a parlare, ad approfondire le nostre vite. È stato allora che siamo diventati davvero amici. Ma loro il venerdì partivano e io restavo solo. Ho pensato anche di farla finita”.
“I terroristi li conoscevo. Adriana Faranda era mia vicina di casa al Circeo. Giusva Fioravanti era nel mio liceo, il Giulio Cesare. Negli anni ’70 Pierluigi Concutelli volle incontrarmi, ed è possibile che ci siamo visti a pranzo. Ho frequentato anche quelli dell’estrema destra. Il Sessantotto lo vissi pure dalla parte dello Stato. Mio padre mi lasciava libero di sbagliare. Però mi spiegava come stavano le cose. Anche per questo non sono diventato un terrorista. Avevo capito il grande inganno che c’era dietro il Sessantotto”.
“Ivan Graziani è stato come un fratello. Era bravissimo. Viveva per i concerti. Amava la provincia, la sua Novafeltria. Questo forse lo ha limitato nella fama e nella carriera, ma Ivan non poteva andare contro la sua natura”.
“Rino Gaetano era molto fragile. Ll’incontro con un discografico gli ha fatto bene dal punto di vista musicale, ma è stato devastante sulla sua vita. RAveva una sorta di complesso di inferiorità nei confronti miei e di Francesco De Gregori. Gli volevamo bene. Ma quando il destino deve compiersi non si può fare niente. Nel suo ultimo periodo non riuscivo più a capirlo. Il successo a Sanremo ha acuito le sue insicurezze. Rino esorcizzava le sue angosce con l’ironia. Era un bravo ragazzo pieno di ferite”.
“Lucio Battisti ed io eravamo caratterialmente simili, due lupi solitari. Ci siamo frequentati nel 1976 ad Anzano del Parco, nel suo studio. Eravamo imbattibili a biliardino. Ivan Graziani e Oscar Prudente si arrabbiavano perché non vincevano mai”.
“L’estate romana dell’assessore Renato Nicolini è stato un momento importante per Roma La notte ci trovavamo al Comparone, un ristorante romano che non chiudeva mai. C’era il tavolo degli attori con Mastroianni, quello dei pittori, quello dei cantanti: Io, Dalla, Ron, Zero, De Gregori, a volte Baglioni. A questi tavoli si aggiungevano i “proletari” come Mauro. Non c’erano differenze di classe”.
“Amo Roma, ma è diventata faticosissima. Qualche anno fa, per il mio compleanno, l’8 marzo, ho invitato un sacco di gente. C’era anche Sorrentino. Tavoli a tema. Io mi sono messo al tavolo dei “politici”, in mezzo a Santoro, Bertinotti, Damilano, De Angelis. Intervenivo solo per farli litigare e rendere evidenti le loro contraddizioni”.
“Voglio bene a Ultimo. La sua è una generazione senza sovrastrutture, buttata nella mischia senza gavetta, e infatti entra subito in crisi, come Sangiovanni. Conosco bene Annalisa, Angelina Mango e Madame. Sono delle brave interpreti di Francesco Guccini e Fabrizio De André sono fenomenali. Ma per esigenze discografiche devono cantare altro”.
“Lilly scalò la Hit Parade nel 1975. Non era una canzone popolare, il testo parlava dell’eroina che stava mietendo una generazione. La cantavano tutti, non consapevoli di quel corpo bianco con quattro buchi sulla pelle, ritrovato fra immondizia e carte di giornale”.
“Ho avuto la fortuna di incontrare Federico Fellini. Una volta mi ha invitato sul set di E la nave va. Per tre mesi ho visto il suo Luna Park. Era un genio consapevole. Aveva tutto in mente, niente di scritto, giocava con il suo mito e se lo godeva fino in fondo”.
“La mia vera passione sono le chiese, quelle meno note e frequentate. Se sei malinconico e hai voglia di startene un po’ da solo, Roma offre due grandi sollievi: una chiesa tranquilla come rifugio per l’animo e una fontanella d’acqua fresca”.
“Ho sempre visto la Roma futura, sono lontano dalla tradizione romanesca. Ho sempre avuto molti dubbi su un tipo di romanità anche letteraria. Poi ci sono dei punti di riferimento stabili nella poesia romana, tipo il Belli e Trilussa, al quale aggiungerei anche Pascarella e le pasquinate. Io sono partito con un nuovo linguaggio. Con la mia generazione, come quella di Carlo Verdone, è partita tutta un’onda di rinnovamento lessicale. Un modo gergale di interagire tra di noi, che partiva dalla scuola, non dai poeti e quindi diventava una specie di slang di classe. Un lessico che poi ha invaso tutta la città, così come adesso attraverso internet c’è un nuovo linguaggio che è un modo di comunicare di gruppo e che poi diventa lingua ufficiale, di uso comune nella quotidianità della nostra città”.
“Sono stato uno dei creatori delle cantine romane, dei punti importanti di aggregazione perché si sentiva la musica, facevamo forum sul cinema, sulla vita. Alla cantina ho dedicato una canzone nell’album Theorius Campus. Stava in via Monte delle Gioie, vicino a piazza Vescovio. La mia casa è stata una specie di comune, in un quartiere altissimo, nel senso che oggi sarebbe impensabile avere una casa lì, perché costerebbe una fortuna, a piazza San Pantaleo, vicino piazza Navona. Ed eravamo io e il gruppo di amici della cantina che usavamo questo spazio per uso incontri, amori, riunioni culturali, politiche, di cinema, sul teatro, sulla letteratura e altro. Era una specie di circolo. La prima casa personale, in affitto, è stata in via della Lungara. Lì vicino c’era il Film Studio, luogo di pellegrinaggio per gli amanti del cinema, nei primi anni 70. Poi mi sono sposato e sono andato a vivere a Valle Linda, un consorzio sulla Flaminia, vicino a Castelnuovo di Porto. Dopo quell’esperienza, con mia moglie Simona Izzo sono andato a vivere a Casal Lumbroso sull’Aurelia, dopo la separazione con Simona sono andato a vivere a Trastevere, in via di Santa Bonosa, vicino piazza Belli. Vivevo alle spalle della statua del poeta romano. In quel posto ho passato tutti gli anni ’80. Dopo quel periodo, mi sono spostato a Colle Romano, sulla Tiberina. Nel 2001 sono ritornato a Roma”.
“Roma, come nel film di Sorrentino “La grande bellezza”, è un sogno che può diventare un inferno affettuoso per chi la vive tutti i giorni, perché ha un sacco di problemi. Roma muta, cambia, si trasforma. Quando fu restaurata la Cappella Sistina sono rimasto folgorato nel vedere tutto questo sfarzo di colore. Grazie al restauro c’è stato il ritorno alla luce dei colori che la patina scura aveva nascosto per secoli. Noi pensiamo che l’antico sia buio, scuro. Invece non è così. Noi non siamo abituati all’antico con il colore, invece il colore è proprio la forza della Cappella Sistina, anche per attrarre i fedeli. Immaginiamo un ragazzo di quell’epoca che andava a vedere la Cappella Sistina, che botta di colori, di vita trovava. Non dobbiamo avere paura di dare colore a Roma, di dare una nuova dimensione, una nuova architettura, una nuova canzone, una nuova poesia. Dobbiamo costruire la nuova cultura, i nuovi romani, i nuovi modi che vanno dal linguaggio al comportamento”.