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Sanremo 2025 – Rkomi, “Il ritmo delle cose”

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“Sento di essere cambiato, mi sono preso più sul serio. Ho iniziato a lavorare a un progetto che poi si è trasformato in un’altra cosa e in un’altra cosa ancora. Il ritmo delle cose arriva così, come se fossero dei semìni che lancio nei giardini altrui, ma anche nel mio, e poi li vedo germogliare”.

“La periferia mi ha sempre dato quel senso di famiglia derivato dalle porte aperte delle case popolari dalle quale arrivo. Questo gesto da parte di chi viveva nello stesso palazzo stava a significare che le persone c’erano per chi ne aveva bisogno. In qualche modo ho provato a fare la stessa cosa aprendo una palestra. Questo posto vuole essere un luogo di aggregazione che faccia sentire in famiglia”.

“Uso molto il telefono, guardo YouTube, Whatsapp e ascolto musica. Sui social invece ci passo poco tempo ed è un problema per il mio lavoro. Mi sono promesso di vivere un po’ più questi social network perché sono l’unico modo per capire ciò che accade”.

“Vivo in un flusso artistico. Non sono un pianista ma non ho più paura del pianoforte, sono padrone della teoria, finalmente posso mettere le mani nella mia musica”.

“I fan mi seguono per strada, al ristorante mi impediscono di pagare, mi invitano alle feste, in questo contesto è molto facile sentirsi onnipotente. Ma io non riesco a farlo. Sto attaccato alle persone che hanno fatto parte della mia vita da sempre, divido  lavoro e vita personale, facendo quelle piccole cose che mi ricordano da dove sono partito. E che cosa voglio essere. È facile circondarsi di persone che dicono sempre sì, ma io non riesco a farlo. Ho nuove conoscenze e amicizie, che mi piacciono molto, ma le so scegliere. In questo sono sempre stato bravo. La mia vita personale è molto contaminata, il mio lavoro è molto personale. Ho la mia casetta fuori Milano, la palestra, il mio cane. Mi sto dando tantissimo allo sport. Ho iniziato a nuotare, continuo a giocare a calcio”.

“Sono molto competitivo, ma mai nella musica. Ci sono stati momenti in cui il mio repertorio era più di nicchia, negli ultimi anni è successo al contrario. Ma non posso vivere di competizione, fa male. Ho visto in passato il malessere dei miei colleghi che per colpa di questa cosa non hanno saputo gestire la loro carriera e il loro presente. Però lo sono molto negli sport, nelle discussioni. Non guardo mai quello che si dice, alla fine non fa bene”.

“Mi piace curiosare in tutto quello che sta attorno alla musica, portandolo nella musica. Non mi sentirò mai un artista pop, non voglio essere inquadrato.  Per un periodo ho approfondito la mia “radice” rock per avere una nuova visione del ruolo di palco e strumenti nella mia musica. Ora chiedo di più a me stesso”.

“Negli ultimi tempi ho esplorato me stesso. Ho approfondito i rapporti con la mia famiglia, ho esplorato il mio vecchio quartiere dove continuo a tornare sempre, e l’India durante un viaggio. Avevo una vita comoda e semplice, non solo dal punto di vista economico, e avevo poco tempo per stare con me stesso. Poi mancavano i momenti di noia, che sono quelli ai quali artisticamente devo di più. Non ho preso nessun diploma. Ho tante lacune e mi dico tante bugie”.

“Ho letto cose più grandi di me e ho preso in prestito visioni artistiche di grandi musicisti. Sono partito ascoltando i Velvet Underground e Patti Smith. Grazie a Lou Reed ho letto Delmore Schwartz che aveva ispirato molto i Velvet, e Arthur Rimbaud. Delmore Schwartz aveva problemi di depressione e alcolismo, si suicidò a 53 anni, aveva una dote innata nell’utilizzare le parole. Era distruttivo e cinico. Poi ho letto Burroughs e Paolo Nori. L’illuminazione è arrivata con un libro di Paolo Sorrentino, Hanno tutti ragione”.

“Ho avuto la fortuna di lavorare prima di vivere con la mia musica e quindi non ho subito particolari pressioni e stress che ci sono dietro il mondo della musica. Il lavoro del cantante non finisce mai, vai a casa e ti stressi continuando a rimuginare su un brano”.

“Amo il cinema. Sono rimasto affascinato da registi come Truffaut, Fellini, Antonioni. Mi piace il ritmo di quelle sceneggiature. In quel cinema c’è spazio per la riflessione, per il silenzio”.

 

 

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