“Ho iniziato a lavorare a 7 anni, facendo tutti i mestieri possibili, il garzone, il barista, il panettiere. Mi esibivo nei ristoranti, le mance erano preziose. Mi arrangiavo perché in casa eravamo tanti, 8 figli più due genitori, 10 persone in una sola stanza. In fondo al letto grande di papà e mamma, dormivamo io e mio fratello, poi c’erano tre lettini per le sorelline femminucce., e poi c’era il bagno. Quel bambino di tanto tempo fa ogni tanto bussa alla mia porta quando non ho tanta voglia di lavorare. Mi dice di muovermi. È lui che mi dà la spinta a proseguire e fare spettacoli, viaggiare”.
“Come artista di teatro non ho mai frequentato accademie, la mia scuola è stata quella napoletana di strada. Ho esordito in palcoscenico con Patroni Griffi e Giorgio De Lullo, miei maestri, furono loro a consigliarmi di lavorare con il mitico regista del Piccolo, Giorgio Strehler. Fu lui a farmi cercare per il ruolo di Yang Sun nell’Anima buona di Sezuan. Mai avrei immaginato di essere diretto dal “teatro fatta persona”. L’emozione era talmente grande che una volta, durante le prove, assalito da un attacco di panico, decisi di scappare. Presi il taxi per l’aeroporto ma, quando arrivai là e stavo per scendere dall’auto, qualcosa dentro mi disse che se chiudevo lo sportello sarebbe finita”.“Io mi emoziono sempre. Ogni volta che salgo su un palco è come se fosse la prima volta del lontano 1964. Sanremo è un palcoscenico che emoziona ogni cantante che si trova li con davanti il pubblico dell’Ariston e la consapevolezza che l’Italia lo sta guardando”.
“Ho iniziato a fare teatro con Peppino Patroni Griffi, nello spettacolo Napoli chi parte e chi resta di Raffaele Viviani. Da lì ho lasciato il mondo della canzone, di cui ho fatto parte dal 1969 al 1975. Mi sono dato al palcoscenico con Romolo Valli, Giorgio De Lullo, Strehler, Scaparro. Volevo fare teatro e staccare con la canzone. Avevo fatto quasi tutto: vinto due volte Canzonissima, due il Cantagiro, avevo partecipato a due Festival Europei e venduto circa nove milioni di dischi. Rose rosse, all’epoca, vendette un milione e duecentomila copie. Adesso con duemila copie danno il disco d’oro e con cinquemila quello di platino. Via del Consevatorio, che aveva venduto 350mila copie, fu il mio grande flop. Con Vent’anni, Rose rosse e Se bruciasse la città avevo venduto tra le 700mila e il milione e di copie. Poi con Erba di casa mia mi risollevai”.
“A 15 anni ho esordito in tv, a 12 con il nome di Gianni Rock mi ero esibito alle feste di piazza a Napoli. Avevo fatto molte lezioni di canto con il maestro Hejman. Abitava accanto al bar dove lavoravo e prendeva mille lire a lezione. Ci andavo due volte a settimana. Un giorno gli dissi che non sarei più potuto andare perché non avevo soldi. Mi disse di non preoccuparmi, le lezioni me le avrebbe date gratuitamente perché aveva intravisto delle qualità. Nel 1963 incisi dischi come Gianni Rock e andai in America con il grandissimo Sergio Bruni. Poi grazie a Mario Ganci, maestro e professore di chitarra classica al conservatorio, venni a Roma col mio chitarrista, feci un provino e chiamò subito il produttore. Andai in CGD in via delle Carrozze, feci un’altra audizione al pianoforte e mi mandarono a Milano davanti al grande Ladislao Sugar. Mi fecero un contratto e debuttai a 15 anni a Scala Reale, sulla prima rete Rai, con L’amore è una cosa meravigliosa. Nel 1969, è arrivata Rose rosse”.
“Dopo quel successo, il regista Mauro Bolognini mi cercava in tutta Italia per provinarmi. Mi aveva visto in televisione al Cantagiro. Aveva già fatto audizioni a Jean Paul Belmondo e Pierre Clementi, ma non era convinto. Vide la mia faccia da operaio nel piccolo schermo. Secondo lui ero il suo Metello. Mi propongono questo film, ma non sapevo neanche chi fosse Metello. Rose rosse rappresenta il brano che mi ha aperto la strada ai grandi registi: Giuseppe Patroni Griffi, Luchino Visconti, Franco Zeffirelli. Vinsi il David di Donatello. Avevo la punta del piede nel mondo del cinema italiano”.
“Con Charles Aznavour avevo un rapporto padre-figlio. Mi manca la guida, il faro, sul palco era immenso, come Edith Piaf. Mi mancano i consigli, la sua sicurezza, la sua persona. La nostra amicizia era nata a Parigi durante una trasmissione tv. Aveva sentito parlare di me, mi ha voluto conoscere. Amava il vino italiano, un giorno mi ha portato tra i suoi ulivi di cui andava fiero”.
“La rivalità tra me e Gianni Morandi un tempo è stata vera. Eravamo come Bartali e Coppi. Ogni volta che incidevo una canzone pensavo a cosa stesse facendo lui. Poi ci ritrovavamo al Teatro delle Vittorie per Canzonissima e ci divertivamo davvero tanto, passavamo i pomeriggi a giocare a scopa”.
“La canzone che porto nel cuore è Vent’anni. La interpretai a Canzonissima pochi mesi prima di compiere 20 anni. Mi emoziona sempre cantarla”.
“Ho un viso un po’ eduardiano, una faccia dura, di un self made boy . Ma i grandi intellettuali avvertivano che dietro questa faccia dura, c’era un grande amore per l’arte, c’era entusiasmo, gentilezza. Capivano che avevo una grande volontà di riuscire, rubando sprazzi a tutti gli artisti. L’artista deve essere un ladro, deve prendere qualcosa da tutti”.
“Napoli è nu’ palcoscenico a cielo apert’. Questo mi è rimasto dentro, nel bene e nel male. Come diceva il grande Pino Daniele, a Napoli c’è “il popolo che cammina sotto ‘o muro“. Io, a casa mia, ho messo il parquet, perché devo avere le tavole di legno sotto i piedi”.
“Perdere l’amore è un incantesimo. Ogni volta che la canto scatena l’entusiasmo del pubblico perché tutti ci si riconoscono. Ognuno di noi ha bisogno d’amore”.