“Sono cresciuta in una famiglia di donne forti. Mia mamma ha sempre detto che, in quanto femmine, ci saremmo dovute fare il mazzo doppiamente, ma era importante farlo per essere indipendenti”.
“Nell’ambiente della discografia un tempo risultavo ingestibile perché volevo mettere bocca anche per la semplice scelta di un arrangiamento. Negli anni ’90 non era previsto. Passavo per quella che rompeva. Ho incontrato figure maschili che pensavano di aiutarmi, limitandomi. Ma ho trovato, soprattutto nella parte tecnica, chi ha saputo darmi strumenti per essere indipendente. Ho deciso di imparare a usare programmi audio per registrare in autonomia. Quando mi chiedevano di andare all’estero, vedevo la cosa come percorso precostituito e rifiutai accampando la motivazione di dover cercare il mio suono”.
“L’aspettativa mi perseguita ed è crudele. Quando è soddisfatta tutti zitti, mentre se non lo è viene sottolineata. Nessuno dice che canto Come saprei come 30 anni fa, ma se non ci riuscissi lo direbbero immediatamente. L’aspettativa è un’illusione buttata addosso dall’esterno. Bisogna lavorarci, distinguere dove c’è amore e ascolto o solo giudizio”.
“Se guardo indietro vedo che il tempo passa con troppa velocità. Vedo una ragazzetta che corre, cerca di fare, perde anche tempo, ma è sincera, poco furba, troppo testarda e convinta di cose poco importanti. Sono stata molto romantica, potevo concretizzare di più”.
“Pino Daniele era un figo vero. Mi consigliava sui “no” da dire se non si è sicuri. Pino era avanti, sapeva sarebbe cambiato tutto nella discografia”.
“La cura per me è stata scritta da Blanco. La sento molto mia, avrei voluto scriverla io. In questo brano c’è quello che sono e quello che vorrei essere. Il senso è che la cura che cerchiamo all’esterno in realtà va cercata dentro di noi”.
“Ho iniziato negli anni ’90, per quanto riguarda i diritti delle donne, dal mio punto di vista sicuramente dei passi in avanti sono stati fatti, a livello di mentalità, di considerazione del ruolo delle donne, credo però ci sia ancora molto da fare. La questione fondamentale sia culturale e di mentalità è molto più profonda e complicata da trasformare. Mi ricordo le battaglie degli anni ’70 ci sono ancora delle scritte sui muri per Roma. Il femminismo per come è stato inteso, ovvero un atto aggressivo, era in realtà la richiesta di essere accettate in quanto donne. Da secoli le donne si fanno carico della famiglia, fanno dei salti mortali per conciliare lavoro e figli, ma non ci si chiede quale sia lo sforzo fisico e mentale in questo senso, quasi come fosse scontato. Noi dovremmo lavorare proprio sulla considerazione del ruolo della donna e della persona e quindi cercare di equiparare i diritti che hanno gli uomini. Il cambiamento grande lo si può fare grazie alle nuove generazioni e alla collaborazione di tutti i membri del nucleo famigliare, dove anche il papà, il compagno, condivide le responsabilità, questo rende la vita più facile a tutti, molto più equilibrata anche per i figli. Rispetto a 40 anni fa abbiamo conquistato maggiori diritti, ma non si può dire che siamo al 100% tutelate. Una donna che ha intenzione di fare figli viene assunta con maggiore difficoltà, non guadagna gli stessi soldi di un uomo a parità di ruolo, non bisognerebbe stupirsi se accade per qualcuno, dovrebbe essere assodato che l’eguaglianza è fondamentale. Vanno smantellate le convinzioni patriarcali, non togliamo nulla a nessuno, chiediamo solo quello che ci spetta in quanto esseri umani”.
“Quando ho cominciato entravo in studio e ero percepita “solo” come la cantante, ero diretta dai produttori, dai tecnici. A poco a poco noi artiste siamo riuscite a cambiare le cose, ci siamo imposte. Oggi ci sono donne sia produttrici che autrici, padrone della propria vita magari contrattuale con una casa discografica. Per un uomo era automatico pensare che la canzone era stata scritta da lui, magari prodotta, che avesse fatto tutto da solo. La musica in generale non la si crea da sola, è fatta da un team in cui il cantante è coinvolto. Noi donne ci abbiamo messo di più a conquistare la nostra credibilità, sembrava ci fosse sempre qualcosa da dimostrare, da conquistare. Anche questo deve cambiare”.
“Io penso alla apripista come Elisa che cantava e produceva anche i dischi, scrivendo i suoi testi, oppure Marina Rei che si sedeva alla batteria e suonava. Senza dimenticare grandi artiste come Patty Pravo, la figura ribelle di Loredana Bertè, un’icona come Mina che hanno ricoperto ruoli diversi come artiste e non solo come cantanti, portando avanti la loro carriera e guadagnandosi quella credibilità senza paura. I modelli li abbiamo già avuti, però di piccole ritrosie se ne trovano ancora, come quando vuoi cambiare un pezzo e il fonico ti chiede diverse volte se sei sicura. E poi c’è il tema dell’immagine oggi. Elodie che esercita la sua libertà di donna volendosi vestire come desidera, una libertà che però viene osteggiata, mentre nessuno va a dire a Damiano dei Maneskin “mettiti una maglietta”. Perché dobbiamo riservare ad Elodie un trattamento diverso? Perché mistificare il corpo femminile? Si fa spettacolo come l’artista desidera. Io mi ricordo quando nel 2003 realizzai un video per una canzone che si chiama “Spirito Libero” in cui ero piuttosto nuda rispetto al mio solito modo di apparire al pubblico. Il video era diretto da Luca Tommassini e non c’erano i social, ma mi massacrarono sui giornali, soprattutto i fans proprio perché non accettavano questo mio modo diverso di esprimermi. Questo cambiamento anche nell’immagine era comunque frutto di un momento anche di vita, di riscoperta della mia femminilità, di mettermi in gioco. Venne vissuto come un atteggiamento scandaloso, ma non era affatto così e se lo fa un uomo non viene toccato, ancora oggi, e anche sui social. Questo non può più succedere”.
“La vittoria a Sanremo del 1995 fu inaspettata. Ero stata ripescata dai giovani dell’anno prima, dove avevo cantato “E poi”. Entrai nella categoria big, dove c’erano tanti artisti importanti e già affermati. Fu un fuori programma la mia vittoria, non ci credeva nessuno, se non il pubblico da casa forse. Fu una cosa veramente pazzesca, che sono riuscita realizzare dopo diversi anni”.
“Ho iniziato a prendere lezioni di canto a 16 anni. A 18 anni ho guadagnato i primi soldi facendo i turni in radio, la corista e cantando nei club. A 21 ho realizzato il primo disco e un anno dopo, nel 1994, sono andata a Sanremo. Ho sempre avuto la passione per il canto. In famiglia ci sono molti musicisti, mio papà canta e suona. Ritagliavo dai giornali i testi delle canzoni che mi piacevano e, quando i miei uscivano di casa, cantavo e mi sentivo bene. Avevo circa 8 anni”.
“Suono un po’ il piano con cui compongo, la chitarra e la batteria. Il mio strumento preferito è il basso elettrico”.