“La gente si indigna perché mi spoglio. Con il mio corpo faccio quello che voglio, non lo sto sessualizzando anche se potrei”.
“Quando ho cominciato questo mestiere, l’idea di una femminilità prorompente infastidiva. Non ho trovato subito delle persone che l’hanno compresa. Il mio desiderio di usare il corpo come Raffaella Carrà divideva. Ho dovuto discutere perché nell’ambiente volevano che stessi al mio posto, che mi limitassi a fare musica leggera e basta”.
“Amarsi un po’ di Lucio Battisti è una delle prime canzoni che ho imparato a memoria, con papà che a casa mi accompagnava con la chitarra”.
“Come ambasciatrice di Save The Children, la cosa che più mi fa arrabbiare è la povertà educativa che è ciò che ho subito. Mi fa stare male la non possibilità di studiare perché so sulla mia pelle che cosa significa, quell’imbarazzo. Parlare in pubblico oggi già per me è un po’ semplice, ma arrivarci e cercare di esprimersi usando le parole giuste dovrebbe essere la base, confrontarsi e stare con gli altri dovrebbe essere l’unica cosa che ci rende davvero parte di una società. Se tutti i bambini e le bambine potessero studiare, diventerebbero adulti più liberi, sicuri di sé stessi”.
“Sono stata molto severa con me stessa. Andando in terapia ho capito molto di me, soprattutto i lati brutti di me e a perdonarli. Non mi accorgevo che avevo dei pregiudizi nei miei confronti e degli altri. La terapia serve per crescere, per imparare a proteggere e non fare male agli altri”.
“Ho sofferto a lungo per la solitudine, poi ho trovato il mio posto. Il momento in cui mi sono sentita più sola e ho faticato è stato durante l’adolescenza. Ero molto triste. Ho sofferto perché non comprendevo e non era giusto. La vita mi ha ricompensata di quello che ho oggi. È bello pensare che c’è un momento per tutti, basta saperlo guardare, ci sono dei momenti di serenità”.
“Vorrei riappropriami di quello che ho fatto in passato, tante cose le avevo rifiutate e messe nel cassetto. Vorrei dare dignità a quello che ho fatto ad “Amici”, al mio primo Sanremo, raccontare quel percorso e aggiungere qualcosa di nuovo. Dopo il Festival 2017 non sapevo più cosa fare. Mi sentivo appesantita. Piuttosto che continuare così sarei tornata a fare la cubista. Volevo essere leggera e felice. Adesso ho un’età in cui posso raccontarmi in modo più aderente a quello che sono. Quello negli stadi sarà uno show diviso in quattro momenti in cui mi voglio vivisezionare e capire di cosa sono fatta”.
“Nella canzone Dimenticarsi alle 7 ci sono due lati di me. Quello inutilmente drammatico, quando a volte a casa mi butto per terra con la vestaglia, e quel modo vecchio, classico ed elegante, di raccontare le relazioni e il dolore. È un modo per ricordare la musica con cui sono cresciuta, in particolare le canzoni di Mina. Ci sono anche i suoni deep house che fanno riferimento alle mie nottate in discoteca. Ballo da quando ho 14 anni e la musica elettronica per me è una forma di meditazione, crea un tappeto su cui puoi fare dei viaggi mentali che ti fanno sentire meglio”.
“Sono nata al Quartaccio, XIV municipio di Roma. Quel quartiere mi ha dato e tolto tanto. È una borgata romana dove ci sono anche persone arrabbiate e demoralizzate. Io ero una di quelle”.
“Mio padre era un artista di strada, mia madre, originaria della Guadalupa, lavorava come cubista in discoteca. In famiglia si cantava e si ballava. C’erano anche parecchi problemi. Ma a Quartaccio chi non li aveva. In quelle vie con i nomi di scrittori famosi ogni famiglia era disfunzionale e si teneva a galla a modo suo. Ed era la musica a tenermi a galla. Mio padre ascoltava di tutto, gli Snap, Ivan Graziani, il grande cantautorato italiano, Lucio Battisti, Pino Daniele, Lucio Dalla, invece mia madre era patita della dance. Ho ascoltato, crescendo, due mondi completamente diversi”.
“Nella musica italiana non è molto presente la voglia di trasformarsi. La maggior parte degli artisti trova un look e lo conserva per la vita. Tutti ripetono che si deve essere riconoscibili, ma secondo me non è vero. Credo di aver preso da mia madre che cambiava spesso pettinatura come vuole la cultura black, parrucche, extension, treccine e tagli repentini di capelli. Io ce l’ho dentro questa necessità di trasformarmi. Non nasce con la carriera musicale”.
“L’amicizia è tutto. È l’unica relazione che, se sei attento e la curi, te la porti dietro tutta la vita. Il resto va e viene. Gli amici restano. Io ho bisogno dei miei amici, delle persone che ti ricordano chi sei. Un amico vero ti dirà sempre le cose con onestà”.