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Sanremo 2025 – Brunori Sas, “L’albero delle noci”

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“Il mio sguardo è quello di uno che vive lontano dai centri grossi. Il vivere lontano mi dà la possibilità di guardare alle cose del mondo con uno sguardo privilegiato. E poi mi tiene anche coi piedi per terra. È chiaro che una cosa è fare quello che faccio a Milano, una cosa è farlo in un contesto dove alla fine sei un cantante, però sei pure Dario Brunori e basta”.

“Ho sempre sentito di avere una voce interiore che, al di là delle influenze esterne, doveva uscire per forza. La musica mi ha aiutato tantissimo. Ho cominciato con la chitarra, strumento che ho utilizzato per superare tante timidezze. Sono convinto che l’arte in generale sia il veicolo migliore per chi ha difficoltà di comunicazione, anche verbale, sociale, per chi trova ostacoli nell’avere relazioni che normalmente si svolgono nella società. Io possedevo una specie di introversione, chiamiamola “timidezza”, e la musica mi ha aiutato profondamente a relazionarmi con gli altri, a manifestare una mia parte emotiva che difficilmente veniva fuori. Anche oggi mi è difficile esternare determinati sentimenti come sensibilità, fragilità, commozione, col canto riesco benissimo a farlo. In un mondo che pensa solamente a ciò che è fuori, l’arte è in grado di farci dialogare con la nostra parte interiore, arrivando a capire chi siamo. Ci sono tanti altri strumenti per farlo, ma la musica per me è stato il più istintivo, il più divertente”.

“Sono figlio del Nord e del Sud, padre romagnolo e mamma cosentina. Mio padre capitò in Calabria per caso. Mio nonno, tecnico di altiforni, fu chiamato per un lavoro a Ioggi, un paesino in provincia di Cosenza. L’estate ci portò i figli in vacanza. Era il 1952 e babbo, che aveva diciotto anni, decise di rimanere. Si trovò bene. In quanto forestiero attirava le donne come una calamita. Gli sembrò di essere capitato in paradiso. Mamma era maestra di musica e cantante diplomata. La musica era di casa. C’erano strumenti ovunque. Mio padre faceva i mattoni. Ho preso il mio pseudonimo dalla sua ditta, la Brunori Sas. In famiglia la lingua ufficiale era l’italiano. Ma fuori casa si parlava in dialetto. Sono vissuto con l’idea che ci fossero due mondi, quello dell’italiano e quello del cosentino. Allora a Ioggi c’erano quattrocento abitanti, ora un centinaio. Fu uno choc quando ci spostammo a Guardia Piemontese che d’inverno faceva più di mille abitanti e d’estate, con i turisti e i villeggianti, arrivava a ventimila. A venire erano soprattutto napoletani. Mi ricordo la loro grande energia, la vitalità, il fatto che ci portarono Pino Daniele, James Senese e Massimo Troisi, De Crescenzo, Eduardo De Filippo. Riferimenti decisivi per me. La napoletanità mi ha sempre affascinato”.

“Ho vissuto gli anni 80 in Calabria, c’erano cose degli anni 40 e degli anni 30 ancora vive. Sono grato di essere cresciuto a Ioggi e a Guardia. Il modello di sviluppo che oggi viene tanto criticato qui non ha mai attecchito, non ha inquinato tutto. Il marketing non ha mai funzionato bene in Calabria. È un caso mondiale che gli esperti del settore non riescono a spiegarsi. Noi ce lo spieghiamo molto bene. Oggi si ragiona sempre di più in termini di aut aut. Passatisti o futuristi, tradizionalisti o super contemporanei che vogliono solo tablet e sushi. A me piace l’idea che le cose possano convivere. Per questo sono contento di stare in Calabria, dove un certo tipo di passato buono esiste ancora, è vivo, non chiuso in un museo”.

“Quando realizzo un disco, l’inizio in Calabria per poi finirlo a Milano. Quando sono in Calabria i tempi sono dilatati e mi posso far prendere dal mio ozio, che in fase creativa può risultare utile, però in quella operativa può diventare un problema. Quando sono a Milano mi faccio assorbire dal ritmo di questa città vitale e iper-proiettata verso il futuro”.

 

 

 

 

 

 

 

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