(telegraphavenuebooks.com)
Un tempo Al Ward suonava in cover band di Reno e Las Vegas, nei circuiti dei casinò. Componeva delle canzoni per altri. Oggi vive a duemila metri di altitudine, nel deserto del Nevada, dentro una baracca senza elettricità né acqua corrente, dietro una miniera abbandonata. A sessantasette anni, le giornate interminabili le trascorre facendo lunghe passeggiate in mezzo alla neve e scrivendo canzoni che non canterà più nessuno. Una mattina vede un cavallo. La bestia è cieca, immobile, sembra irreale. Potrebbe trattarsi di un’allucinazione: l’isolamento e l’alcol giocano brutti scherzi. Il nostro eremita farà di tutto per salvare quella strana presenza. Inizia così Il Cavallo, romanzo di Willy Vlautin, scrittore e frontman di band di successo (Richmond Fontaine, The Delines), nato e cresciuto a Reno, nel Nevada, il set di tutte le sue storie. Il romanzo si sviluppa su due piani temporali: il presente, con la vicenda del cavallo; il passato, attraverso una serie di flashback che ripercorrono la carriera del musicista, tra serate e flirt complicati, come quello con la cantante Mona, la donna di un altro. Mona ha il doppio degli anni di Al, beve come una spugna, è gelosissima del suo giovane amante ma non rinuncia all’altro uomo, anche suo datore di lavoro. Sono tanti i bocconi amari da mandare giù. Le storie di Vlautin sono velate di malinconia e i personaggi che le abitano “camminano sulle sporgenze” come disperati alla ricerca di un approdo, uomini e donne deluse che possono cedere all’alcol ma non all’autocommiserazione.
(pensierosecondario.wordpress.com)
C’è qualcosa di prodigioso e disumano nel cavallo che si presenta un giorno fuori dalla baracca in cui Al ha deciso di ritirarsi e vivere quel che gli resta da vivere. In solitudine, in una ex-concessione mineraria nel Nevada, con una scorta di zuppe Campbell, una tuta termica per sopportare il gelo invernale, un’automobile dalla batteria esausta, pieno di demoni che a stento riesce a mettere a tacere. All’improvviso un cavallo, probabilmente cieco, se ne sta immobile nel gelo. Non mangia. Non vuole saperne di andarsene. Al è colpito: non è che un cavallo, fuggito o abbandonato. Sente di doverlo proteggere, lo difende dall’aggressione dei coyote, tenta di nutrirlo. L’isolamento che indossava come una corazza si dissolve. E la memoria torna a chiedere conto, a far pulsare le cicatrici.
Willy Vlautin non ha interrotto la sua attività di musicista: dopo che si è conclusa l’avventura dei ottimi Richmond Fontaine, ha proseguito con i The Delines. Nel frattempo è diventato un romanziere: Il cavallo è il suo settimo romanzo.
Al infatti è stato un musicista. A sessantacinque anni, con un passato di scelte sbagliate, frustrazioni, lo spirito e il corpo danneggiato da un alcolismo che ha preso il sopravvento, ha deciso di chiudere i ponti. Approfitta della baracca nella concessione mineraria ricevuta in eredità, e toglie il disturbo. Niente più Reno, niente più concerti, niente più canzoni scritte. Mentre Al sente di non poter fare altro che prendersi cura di quel cavallo comparso dal niente, i flashback arrivano come onde lunghe.
(lankenauta.it)
Il romanzo sembra essere dedicato a tutti quei musicisti anonimi di cui spesso neanche ci possiamo immaginare le difficoltà che devono affrontare: la convivenza forzata con gli altri membri della band, il logorante ritmo delle tournée, la poca stabilità economica e ovviamente l’alcol e la droga. Il nostro protagonista è stato un alcolista e ci fa capire che una volta dentro, è veramente difficile uscirne, e anche se ci riesci, ricascarci è altrettanto facile. Willy Vlautin ci porta ai limiti della società statunitense, ci fa vedere come possa essere un luogo di opportunità per coloro che riescono a coglierle, per tutti gli altri invece può diventare un mondo ostile e che ci mette pochissimo ad abbandonarti a te stesso.
(satisfiction.eu)
Willy Vlautin: “Il romanzo segue la vicenda umana di Al Ward, un musicista che ha suonato la chitarra nei bar, nei casinò e nei club dall’età di 16 anni fino a poco più di 60. È un tipo un po’ ammaccato dall’esistenza e in lotta contro l’alcolismo, ma che non rinuncia ad essere un cantautore per tutta la vita continuando a scrivere la sua musica indipendentemente dal successo o dalla mancanza di esso”.
“Io e un amico eravamo nel Nevada centrale, a circa trenta miglia dalla strada asfaltata più vicina, e arrivammo in una grande playa deserta, che si estendeva a perdita d’occhio. Non c’erano acqua né alberi, nient’altro che sabbia e terra. È stato lì che abbiamo visto quella che sembrava la statua di un cavallo nero. Ci siamo fermati e ci siamo avvicinati per constatare con i nostri occhi che era effettivamente un cavallo selvaggio e che era cieco. Fu la cosa più triste che avessi mai visto fino a quel momento. Essere soli e ciechi nel deserto, senza acqua né ombra, è straziante oltre ogni dire. Quel cavallo mi è rimasto impresso per anni, è un’immagine dalla quale non potrei mai sfuggire. Quello che penso di aver detto nel romanzo è che a volte l’unico modo per aiutare sé stessi a non annegare è aiutare qualcun altro che sta a sua volta annegando”.
“Il materiale relativo al viaggio nel romanzo è basato sulle mie esperienze personali. Adoro far parte di una band, non è stato così difficile descriverne la vita on the road. Ho sempre pensato che fosse più facile essere in un gruppo che lavorare. Almeno nel tipo di lavori che ho fatto io, oltre al musicista e allo scrittore”.