(comingsoon.it)
Autobiografia che prende il titolo da quello che doveva essere il titolo di Mediterraneo. Il regista dice sulla sua foto in bianco e nero che campeggia sulla copertina e nella quale sfoggia una chioma fluente e ha la chitarra in mano: “Avrò avuto una ventina d’anni. Nella foto c’è una chitarra acustica, perché all’epoca non avevo ancora messo insieme abbastanza soldi per comprarmi una Fender elettrica come quella di Jimi Hendrix. In quel periodo trascorrevo molto tempo attaccato alla vetrina di un negozio a contemplare favolose chitarre e altri strumenti musicali. Appesa nella sala prove, che si trovava nello scantinato, c’era una Fender meravigliosa, e quando finalmente sono riuscito a comprarla, è successa una cosa che mi ha sgomentato. Allora facevo parte del comitato culturale del movimento studentesco. Un giorno sono arrivato a una riunione armato della mia Fender e poco dopo qualcuno ha detto: ‘Da adesso in poi dichiariamo la chitarra elettrica uno strumento del capitalismo americano’. Così ho lasciato il movimento studentesco a favore di Lotta Continua”.
Gabriele Salvatores racconta: “Non volevo essere autocelebrativo”.
Per quanto riguarda il noir, già Sogno di una notte d’estate: “Quel film raccontava il passaggio dal giorno alla notte insieme alle vicende di quattro ragazzi che scappano di casa e si ritrovano in un bosco popolato da spiriti, elfi e altre creature fantastiche. Credo che Shakespeare sia un autore noir. Il mio film, che era una trasposizione cinematografica di uno spettacolo del teatro dell’Elfo, nonché un musical punk rock con una Gianna Nannini ancora sconosciuta, era pieno di difetti, tanto che, arrivato al montaggio, mi sono accorto che non c’era abbastanza materiale. Così ho ripiegato su immagini di repertorio come un razzo che parte, un animale che carica, alcune persone sott’acqua. Avevano poco a che vedere con ciò che stavamo raccontando, ma si legavano al film in termini emozionali, un po’ come succede con i videoclip”.
Gabriele Salvatores: “Ho cominciato a fare cinema con tre film che sono più vicini alla commedia che al noir: Marrakech Express, Turné e Mediterraneo. Il terzo ha vinto l’Oscar e da quel momento in poi ho cercato di mostrare anche il Dark Side of the Moon, per citare i Pink Floyd, del mio immaginario”.
(spettacolomusicasport.com)
Gabriele Salvatores si racconta per la prima volta in questa autobiografia. Pagine che ripercorrono un’epoca attraverso l’amore e l’amicizia, il personale e il politico, le utopie e i sentimenti di una generazione che ha esplorato il mondo attraverso nuove forme di creatività e conoscenza e che ha ancora molto da dire. Lasciateci perdere era il titolo provvisorio di Mediterraneo, che nel 1992 ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero. “Lasciateci perdere” era inteso come lasciateci stare ma anche lasciate che ci perdiamo. Lasciateci viaggiare lontano, sperimentare nuove forme di conoscenza e di creatività. Lasciateci esplorare il mondo, per inventarne uno migliore. Quel “ci” è riferito a una generazione, quella di Salvatores, che è stata bambina negli anni del boom e ha raggiunto la maggiore età nel fatidico 1968 o giù di lì.
Salvatores apre i cassetti della memoria condividendo il personale e il politico, l’amore e l’amicizia, la passione per il cinema, la musica e il teatro. Ci parla della vita dell’uomo, con i suoi amici storici, i due grandi amori, e l’ansia che da sempre lo affianca, e condivide momenti straordinari della vita del regista, mostrando come tutto si intrecci e sovrapponga perché in fondo «il cinema è una disciplina che aiuta a vivere mentre lo fai». Lasciateci perdere è un viaggio che attraversa il tempo, mille storie e sentimenti in cui ognuno potrà riconoscersi.
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Salvatores in questa biografia, scritta con la giornalista Paola Jacobbi, riflette sull’arte e su sé stesso. Si descrive con coraggio: “Detesto le mattine perché i miei demoni si svegliano all’alba. Prediligo il calare del buio. Ogni tanto, mi chiedo se per caso io non discenda da un qualche antenato vampiro”.
Ammette di non essere tanto in sintonia né con le feste né con Roma: “Roma mi incuteva paura: la paura di conoscerla meglio. Vivevo come in incognito: sfuggivo alla sua socialità, alle sue terrazze”.
I festival li definisce “una bolla fuori dal mondo”, non è appassionato di “tutto quel rutilare di eventi, quei tappeti rossi sempre un po’ circensi”. Non è un grande amante delle competizioni, “dei premi, di questa idea ansiogena della carrellata di registi diversissimi buttati in un’arena per strapparsi a morsi una Palma o un Leone”.
Salvatores elenca alcune fra le sue pellicole preferite: Lo spaventapasseri, Fragole e sangue, Easy Rider, Cinque pezzi facili, Il laureato, Lawrence d’Arabia.