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Steven Wilson

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Steven John Wilson è nato a Hemel Hempstead, il 3 novembre 1967. Si innamora della musica ascoltando “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd e “Love to Love You Baby” di Donna Summer. I Pink Floyd gli trasmetteranno l’amore per la psichedelia e la sperimentazione, la regina della disco music gli farà scoprire l’importanza del groove. A 11 anni inizia a suonare la chitarra in alcuni gruppi della scuola. Anni Ottanta: dà vita ai Porcupine Tree e i No-Man, le band che lo faranno apprezzare da pubblico e critica. Molto interessante anche la sua carriera come solista, produttore e ingegnere del suono. Hai rimixato i classici di grandi artisti quali: King Crimson, Van Morrison, Jethro Tull, The Who, Emerson-Lake & Palmer, Caravan, Yes, XTC. “Lavorare su questi capolavori è un po’ come essere restauratore nella Cappella Sistina, li ripulisco dalle impurità, restituisco loro chiarezza, lucentezza, faccio emergere i dettagli. Un’azione che è resa possibile con la moderna tecnologia”.

“Sono come un giocoliere della musica, porto avanti diversi lavori contemporaneamente. Ho fatto così sia con i Porcupine Tree che con i No-Man, poi si sono aggiunti altri progetti musicali, Blackfield, Bass Communion. Negli ultimi anni mi sono dedicato soprattutto ai miei album solisti”.

“L’intelligenza artificiale ha fatto il suo ingresso nel mondo della musica negli anni del Mellotron, il primo sistema di campionamento dei suoni. Vent’anni fa arrivò il software auto-tune che permette di modificare la voce di un cantante e correggere l’intonazione, a seguire altri software che aggiustano il ritmo”.

“Suono un po’ la chitarra, un po’ le tastiere, un po’ il basso. Agli inizi volevo solo scrivere testi, comporre musica e produrre dischi. Quando sono partito per questa avventura, tra gli anni ’80 e ’90, non era facile trovare strumentisti interessati a fare il genere di musica che mi piaceva. Per questo ho imparato a programmare la batteria, a suonare il basso e la chitarra ed anche cantare”.

“Tra le band italiane, apprezzo la Premiata Forneria Marconi, gli Area, Arti e Mestieri. Ho suonato a Sanremo con la PFM e a Roma con Il Balletto di Bronzo”.

“Quando sono a casa riesco a trovare l’ispirazione per comporre, guardando fuori dalla finestra il mio giardino, alberi, il fiume, i cavalli. Qualche anno fa anni ho lasciato Londra. Prima, quando scrivevo la mia musica o i testi, vedevo solo la strada”.

“Ci sono degli album e delle canzoni di cui vado fiero, che considero speciali. Ci sono stati dei concerti dove il pubblico mi ha davvero emozionato. In India per esempio, con i Porcupine Tree, vedere quattordicimila persone cantare le tue canzoni è stato fantastico. Lo stesso è successo quando sono andato in Messico, in Australia. In Italia, nel 1995, abbiamo suonato a Roma davanti a un migliaio di persone, quando in Inghilterra suonavamo per cinquanta persone”.

“Il cinema è la mia grande passione, insieme alla musica. Musica e cinema sono collegate. Quando scrivo musica penso in termini di immagini. Dopo aver composto una canzone la mando a Lasse Hoile, che ha curato i miei e l’aspetto visuale dei miei lavori. Mi sarebbe piaciuto studiare cinematografia, Tra i registi che apprezzo di più ci sono Stanley Kubrick e David Lynch”.

“Penso che ogni cosa tragga ispirazione da qualcos’altro, facendo riferimento ad un sistema musicale stabilito. Mi piace pensare che la mia musica suoni “solo come me” ed allo stesso tempo che chi l’ascolta possa trovarvi qualcosa dei King Crimson, Pink Floyd, Kate Bush e altri artisti. Oggi crediamo che band come i Beatles o i Led Zeppelin siano uniche nel loro genere, ma i primi iniziarono copiando dei dischi di rock americano e gli Zeppelin traendo ispirazione da una blues band di Chicago”.

“Il rock ha fallito nel reinventarsi per troppo tempo. È ormai diventato “invisibile” nel mainstream dove l’urban è completamente dominante, è diventato un genere di culto come è successo al jazz nella seconda metà del Novecento”.

“L’essere umano sta basando la percezione del mondo che lo circonda attraverso internet, oppure tramite lo smartphone e lo schermo di una TV. L’interazione con i propri simili passa ormai attraverso questi oggetti. I social networks sono false vie di comunicazione tra gli esseri umani. È una tendenza preoccupante della vita moderna”.

“Da ragazzo ho letto i romanzi di fantascienza di Arthur C. Clarke, Philip K. Dick e Thomas M. Disch, scrittori che prevedevano che il progresso tecnologico ci avrebbe schiavizzati, come poi in qualche modo è accaduto. Non ci sono ancora i robot a dominarci, ma Internet. Internet ha modificato il nostro modo di fare acquisti, di essere consumatori, attraverso algoritmi analizza i nostri dati, comportamenti, gusti, per utilizzarli contro di noi, per persuaderci a comprare questo o quell’altro oggetto, di approfittare di questa o quell’altra offerta speciale, ma anche a votare questo o quell’altro leader politico”.

“L’Italia è uno dei paesi dove ho suonato di più in assoluto, sia da solista che con i Porcupine Tree, e dove ogni volta ricevo una risposta calorosa dal pubblico. Credo che gli italiani portino con sé una tradizione musicale che ha pochi eguali in giro per il mondo. Probabilmente grazie all’Opera, il pubblico italiano è più preparato e abituato ad ascoltare musica che al tempo stesso racconta delle storie. Credo sia qualcosa radicato nella tradizione, e che inconsciamente esca fuori quando ci si approccia a formule musicali più intricate”.

“Sono cresciuto ascoltando The Cure, Joy Division, Tears for Fears, Talk Talk, Depeche Mode. Sono partito da sintetizzatori e drum machine, macchine che ho imparato ad apprezzare all’epoca di Giorgio Moroder e Donna Summer, continuando in seguito con artisti come Aphex Twin. Gli artisti che ammiravo da giovane erano tutti autori: come Frank Zappa, il regista Stanley Kubrick, David Bowie, Kate Bush. Solisti che sapevano reinventarsi, cambiando direzione e lavorando con musicisti diversi, ma conservando la propria identità. È quello che ho voluto fin dall’inizio. I Porcupine Tree sono nati come un mio alias e lo sono stati per tre album; poi, gradualmente, sono diventati un gruppo”.

“Rock e pop sono due facce della stessa medaglia. Beatles e Pink Floyd erano pop. Coloro che ascoltano classic rock e metal danno al termine pop un’accezione negativa”.

“Mi piacciono molto Crosby Still Nash & Young. Ma è stato con Tod Rundgren, Brian Wilson e i Beach Boys, ascoltando Pet Sounds, Smiley Smile, 20/20, Friends, Surf’s Up, che sono rimasto incantato dagli arrangiamenti vocali. Ho cominciato a fare esperimenti verso la metà degli anni Novanta. Non sono stato mai abbastanza sicuro della mia voce. Ho una voce passabile, ma non è potente. Uno dei modi che ho trovato per farla sembrare più forte è iniziare a lavorare con il multitraccia, armonizzando e sovrapponendo la voce”.

“Amo la tecnologia, non potrei fare i miei dischi senza computer. Faccio parte della generazione di musicisti cresciuta imparando a creare con l’informatica e con tutto il potenziale che ne consegue per l’editing, l’elaborazione, la progettazione del suono. La tecnologia è importante nel mio processo creativo”.

“Il mio approccio dal vivo è simile a quello ai dischi. Voglio creare un viaggio musicale, dare vita a una sequenza musicale che scorra in modo coerente e coinvolgente, arricchendola con film, proiezioni e suono quadrifonico. Punto a un’esperienza “cinematica” e da audiofili. Avendo alcuni laptop, un po’ di immaginazione e collaboratori creativi si ottengono risultati notevoli. Un mio concerto è un’esperienza multimediale avvolgente”.

 

 

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