“Scrivere la realtà” di Brian Dillon è un libro sull’arte della scrittura, sulle incredibili possibilità che questa offre a ogni autore: da una parte, dare forma a un mondo, scendere nei suoi abissi, rivelarne l’anima e le oscurità; e allo stesso tempo svelarsi, mettersi alla prova, confessare la propria malinconia e tentare di superarla frase dopo frase, frammento dopo frammento.
Influenzato dall’acutezza delle pagine di scrittrici e scrittori come Virginia Woolf, Roland Barthes e Susan Sontag, Brian Dillon sperimenta la forma del saggio quale spazio dell’avventura, continuamente in bilico tra integrità e disordine, racconto personale e storia universale, errore e perfezione. Uno spazio in cui misurarsi con ciò che si conosce, ma soprattutto con ciò che non si conosce; un luogo di voci familiari ed estranee, di aneddoti da scoprire, di eventi inattesi. Scrive William Carlos Williams che “il saggio è la forma letteraria più umana” e il verbo da cui deriva, saggiare, significa infatti “provare ma non tentare. Stabilire un processo”: Brian Dillon in “Scrivere la realtà” ha voluto mostrare questo processo che ci rende più umani, scrivendo. Quindi, tentando o meglio vivendo.
(minimaetmoralia.it)
L’arte del saggio perfetto costruisce uno spazio dove il saggio viene sezionato ed esplorato e vengono interrogate le sue possibilità di descrivere l’uomo e il mondo. Dillon mette alla prova la forma saggistica tirandone i confini e le prerogative, immergendo una riflessione estremamente letteraria, e che fa riferimento, tra gli altri, a Roland Barthes, Susan Sontag, Maurice Blanchot, Joan Didion o Cyril Connolly, tra le pieghe della propria esistenza, confrontandosi con il suo modo di leggere questi libri e con gli eventi che hanno costellato la sua vita, dalla fine della sua lunga storia amorosa alla depressione.