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La libreria di Radio Tolfa Europa: Leo Gullotta – La serietà del comico (Leo Gullotta, Andrea Ciaffaroni, contributi di Alberto Crespi e Laura Delli Colli)

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(illibraio.it
Leo Gullotta racconta il proprio percorso di vita e professionale, regalandoci la storia di un grande attore e un pezzo di storia dello spettacolo italiano. La testimonianza comincia dagli esordi nel teatro al fianco di Turi Ferro, Salvo Randone e Ave Ninchi, per poi spostarsi a Roma, dove debutta nel cabaret e muove i primi passi come doppiatore e nel mondo del cinema. Tanti i nomi che incontra lungo il suo cammino: Nanni Loy, Nino Manfredi, Giuseppe Tornatore, senza dimenticare la felice esperienza del Bagaglino. Pagine che parlano di una vita sul palcoscenico e sullo schermo, dell’uomo dietro l’attore.

(ilgiornale.it)
Ritratto di un signore che mescola l’ambizione con l’umile contezza che gli esami non finiscono. La storia di Gullotta contempla i mondi lontanissimi della signora Leonida, maschera effervescente, e di Giuseppe Tornatore, che lo considerò essenziale nel crudo realismo de Il camorrista come nel sogno intercontinentale di Nuovo Cinema Paradiso; dello scrivano Bartleby interpretato a teatro, la cui mitezza estrema crea più scompiglio di una rivoluzione, e del direttore d’orchestra incarnato al cinema in Quel posto nel tempo, che racconta di un uomo intenzionato a riacciuffare quei ricordi di cui l’Alzheimer lo sta deprivando.

Leo Gullotta
“Il mio incontro con il teatro è stato casuale. Avevo 14 anni. Sono nato in un quartiere popolare di Catania, ultimo di 6 figli di un operaio pasticcere. Papà e mamma ci hanno fatti crescere con grande dignità. Fin da ragazzino mi sono ritrovato in una struttura professionalmente altissima come lo Stabile di Catania, al fianco di grandi attori come Turi Ferro, Salvo Randone, Ave Ninchi. Mi chiamavano Gullottino”.

“Un attore deve saper guardare, apprendere, conservare, avere uno sguardo continuo sulla vita per avere dentro di sé tutti quegli elementi che aiutano a costruire personaggi. Durante la mia lunga carriera ho ricoperto tanti ruoli, frequentato tutti i settori del mondo dello spettacolo. L’attore deve conoscere i vari linguaggi del teatro, del set, dello spettacolo”.

“Il dolore è stato il grande maestro della mia vita, quello che mi ha fatto maturare più in fretta, perché insegna ad essere più umili e disponibili verso il prossimo”.

“Quando dalla Sicilia mi sono trasferito a Roma, l’impatto è stato positivo. Venivo da Catania. Mi ero formato all’interno del Teatro Stabile di Catania, dove ero cresciuto accanto a Turi Ferro, Salvo Randone, Sciascia, Giuseppe Fava. Tutta grandi uomini di Teatro. Nella capitale stavo in una pensioncina e avevo come punto di riferimento un ristorante di via Panisperna, che stava di fronte. Era il luogo dove andavo a mangiare, ma anche una specie di ufficio. A Roma mi sono avvicinato al cabaret, con il Puff di Lando Fiorini. Trastevere, mi volle subito bene. Rimasi per due stagioni all’interno di questo cabaret storico. Poi è venuto il resto: teatro, cinema, doppiaggio, trasmissioni radiofoniche. Ho lavorato anche con Delia Scala, ho fatto il cinema anche quello commerciale”.

“Ho un ottimo rapporto con la cucina romana. Per motivi di lavoro, ogni volta che mi sposto, cerco sempre di mangiare i piatti del luogo dove mi trovo. Anche nei piatti locali c’è la storia di quella regione, di quella nazione. É un modo anche per entrare in sintonia”.

“Ho avuto esperienze in tutti i generi di spettacolo. Il varietà televisivo, Nuovo Cinema Paradiso, Scugnizzi, Vajont, Cuore, per citarne alcuni, tutti mi hanno dato soddisfazione, ognuno mi ha insegnato delle cose, ognuno mi ha portato qualcosa e in ognuno forse ho dato qualcosa anch’io”.

“Amo viaggiare, guardare, osservare altri paesi, altre culture. Mi piace anche la fotografia Mi piace andare al cinema, leggere, la musica, Frank Sinatra, Mina, Fiorella Mannoia, Francesco De Gregori, Ella Fitzgerald, Count Basie, Glenn Miller. Mi piace l’arte nelle sue varie forme”.

“Ogni tanto sento il bisogno di entrare in una Chiesa. So che c’è qualcosa oltre noi. Ogni tanto questo “qualcosa” cerco di vederlo, di capirlo. Sono battezzato, cristiano, ma con una serie di pesanti e lunghi interrogativi. Ma ogni tanto ho la necessità di pregare”.

“L’incontro con Pier Francesco Pingitore fu casuale. Il Salone Margherita era stato preso dal gruppo del Bagaglino, una stagione di grandi successi. Mancò uno spettacolo, Pingitore mi chiese se ero disposto a trasferire il mio. Poi è arrivato il varietà televisivo, siamo andati avanti per vent’anni. Il personaggio della signora Leonida mi ha accompagnato per un lungo periodo. In quel periodo prendevamo in giro i politici che erano seduti in platea. In tanti chiedevano di partecipare, per loro era come una campagna elettorale. Sono venuti tutti, l’intero arco costituzionale. Berlusconi durante le prove portava dei regali: farfalle gioiello per le donne, per noi maschietti orologi”.

“La televisione quando era in bianco e nero ha insegnato a scrivere agli italiani, con un appuntamento ogni venerdì sera ha insegnato il teatro, la domenica sera con i romanzi sceneggiati ha fatto conoscere una serie di importanti opere letterarie: L’Isola del tesoro, L’Idiota di Dostoevskij. Le conferenze politiche erano fatte con educazione, con rispetto tra le parti. In seguito la televisione è diventata un mezzo per vendere. Anche oggi si fanno delle cose eccellenti. Però delle trasmissioni sono a uso e consumo di un abbassamento del gusto del pubblico”.

“Da piccolo ho avuto la possibilità di incontrare grandissimi professionisti che hanno fatto sì che il mio compito fosse solo quello di studiare. Oggi è più difficile, anche se il cinema italiano ha prodotto grandi artisti come Favino, Germano, Giallini, Leo,  persone che ci fanno capire quanto sia necessario conoscere il linguaggio del palcoscenico, della macchina da presa, del corpo. Come andare a lavorare”.

“Ho recitato ne “Il giorno della civetta” nel 1963. Sciascia racconta la Sicilia in maniera impeccabile, le sue opere sono ricche di spunti di riflessione e di elementi introspettivi. C’è moltissimo bisogno di questo, soprattutto oggi. Viviamo nel Paese della Bellezza, che però ha la memoria corta. Non ci rendiamo conto del patrimonio culturale che abbiamo. Spesso tendiamo a generalizzare e a non riflettere sul valore del singolo testo. Non dobbiamo mai dimenticare la ricchezza del teatro, che dà sempre nuovi spunti”.

“Ho avuto la fortuna di interpretare personaggi reali. In questi casi si fa in modo che emergano pezzi di Storia poco affrontati, come il disastro del Vajont. È stato un lavoro complesso, vista la drammaticità di quell’episodio. Per interpretare l’ingegnere Mario Pancini ho cercato di capire come questa tragedia fosse ancora viva nel cuore degli abitanti di Longarone. Ho appreso molto di quella vicenda e dei suoi protagonisti. Pancini era il più onesto, ma nessuno gli diede ascolto. Era in America quando il monte Toc precipitò nell’acqua, reagì togliendosi la vita. Pochi anni prima avevo recitato nel film “Un uomo perbene” di Maurizio Zaccaro sul caso Tortora. Interpretavo Giovanni Pandico, una persona che era l’opposto di Pancini. Era un essere malato che aveva architettato il piano di cui fu vittima Tortora”.

“Essere doppiatore è un’altra sfaccettatura del lavoro dell’attore. Bisogna mettere la voce giusta al personaggio, si deve seguire a tutto tondo l’attore straniero che si va a doppiare. Chi fa il nostro lavoro dovrebbe sperimentare sempre”.

“Il cinema d’autore lo iniziai appunto con “Café Express” di Nanni Loy, assieme a Nino Manfredi. Nanni era una persona elegante mentalmente, un grande professionista, un uomo che si batteva e si è sempre battuto politicamente per la civiltà e il rispetto degli altri. Attori come Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Alberto Sordi non ci sono più. Ma non ci sono più grandi sceneggiatori, registi come Scola, Rosi, Pietrangeli, Petri”.

“Ho preso parte al primo di Giuseppe Tornatore, “Il camorrista”, ispirato al libro omonimo del giornalista Giuseppe Marrazzo. Raccontava la storia della criminalità organizzata, la camorra di Cutolo, di quella Italia, dove politica e criminalità organizzata camminavano insieme. Ero un co-protagonista assieme a Ben Gazzara, che faceva Cutolo; io ero un commissario al servizio dello Stato. Un film importante. Lì ebbi il mio primo premio, il David di Donatello. Da quel punto l’amicizia con Tornatore, e l’arrivo di “Nuovo Cinema Paradiso”. Tornatore è un poeta della macchina da presa, per il modo come racconta, il suo modo di lavorare”.

“Poi sono arrivati Ricky Tognazzi e film come “La scorta”. Era il periodo in cui a Palermo c’era il fenomeno del Corvo nei palazzi di giustizia. Interpretai questo viscido personaggio che era il corvo della situazione. “Spaghetti House” era un film che raccontava l’impatto di quattro camerieri a Londra che si ritrovano con degli emigranti, e vengono scambiati per terroristi. E poi “Scugnizzi”, ancora con Nanni Loy, un film importantissimo, parlava del carcere minorile, della droga, cosa fa lo Stato. Poi sono arrivati “Vajont” la tragedia storica di Longarone, il film di Zaccaro sul processo Tortora, “Un uomo perbene”, un film importante, proprio era inquadrato solo nel processo di Tortora. E tanti altri”.

“Qualunque progetto mi arriva sul tavolo per me è un volo pindarico, una sfida e un viaggio. Proposte stuzzicanti dove non conta imparare a memoria il testo, ma bisogna trovare l’anima di quel personaggio che non è scritto in nessun copione. Non sempre si riesce ma è questo lo sforzo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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