(milanonera.com)
Autobiografia di Albert Pierrepoint, il giustiziere pentito. Il boia francese che in 25 anni ha impiccato circa 500 persone, viene raccontato nella sua forza e nello stesso tempo fragilità. Ha 11 anni quando scopre per caso quale sia il lavoro segreto del padre e dello zio (il boia appunto) e crescendo decide di seguire la tradizione di famiglia. Diventa il Pubblico Giustiziere più famoso della Gran Bretagna, chiamato per le esecuzioni anche in altri paesi del mondo. Nel 1956 le sue convinzioni vacillano. Accade quando deve giustiziare Ruth Ellis che, dopo un rapporto d’amore travagliato con il corridore automobilistico David Blakely, lo uccide per gelosia. Per la prima volta Pierrepoint non trova una folla esultante che lo attende fuori dalla prigione, ma gente inferocita che vorrebbe linciarlo. Il giustiziere decide di lasciare il suo lavoro, non crede più nella pena capitale e comincia a combatterla. “Io credo che nessuna delle centinaia di esecuzioni da me effettuate abbia mai agito da deterrente per un crimine. La pena capitale, a mio parere, non risolve nulla, soddisfa soltanto un desiderio primitivo di vendetta” dice Pierrepoint. Nel racconto della Tani i fatti di cronaca di cui il boia è stato “attore” finale vengono raccontati dal suo punto di vista e intervallati agli episodi della sua vita privata.
(nerdsbay.it)
In questo romanzo non si indulge a una spettacolarizzazione della morte, ma si racconta semplicemente la vita di un uomo. L’autrice utilizza la prima persona, è lo stesso Albert a raccontare la sua storia. Criminali di guerra, prostitute, serial killer, fu varia l’umanità che dovette giustiziare. E’ interessante comprendere i motivi che spinsero queste persone a diventare i mostri che furono. Si tratta di un tema delicato e complesso allo stesso tempo, sul quale in molti si sono espressi nel corso dei secoli, questo romanzo ha il merito di farci riflettere mentre ci racconta la vita di un uomo semplice.
(gialloecucina.wordpress.com)
E’ un libro che non lascia indifferenti, da una parte il racconto della normalità delle esecuzioni, Albert Pierrepoint non è un assetato di sangue, esegue le condanne, dall’altra l’orrore che suscita la pena di morte, in mezzo crimini efferati, senza giustificazione. L’autrice non giudica, racconta una storia e permette a chi legge di formarsi la propria opinione.
(mangialibri.com)
Con una scrittura diretta e senza fronzoli, la Tani pone al centro del suo lavoro la crudeltà e l’inutilità della pena di morte e realizza un lavoro che deve essere letto, un libro in cui la parola d’ordine non è vendetta, ma giustizia.
Cinzia Tani (giornalista, scrittrice, autrice e conduttrice di programmi radiotelevisivi)
“Ho le autobiografie di Albert Pierrepoint e di suo padre, articoli di giornale, documenti vari. Anche i libri contro la pena di morte, come il pamphlet di Albert Camus e Arthur Koestler. Per i casi criminali mi sono serviti molti libri che ho acquistato e anche quelli che posseggo da anni sul True Crime. Una biblioteca gigantesca”.
“Il film The last hang man del 2005, premiato al festival di Toronto, racconta molto bene la vita di Pierrepoint, i suoi rapporti con la moglie, i metodi che usava per giustiziare i condannati”.
“Pierrepoint era un uomo mite. Amava i genitori e gli zii. Aiutava in casa, ha lasciato gli studi per lavorare e dare una mano alla madre dopo la morte del padre. Ha corteggiato con delicatezza la donna che poi ha sposato. Si è rammaricato di non avere figli ma aveva moltissimi amici, soprattutto dopo aver aperto il pub. Ha amato la moglie fino all’ultimo momento. Un uomo molto umano che soffre quando si rende conto che un condannato era un cliente fisso del suo pub. Un uomo che credeva di avere una missione importante e che poi, riflettendo, ha capito che la pena di morte non è altro che una vendetta di stato”.
“Nei libri biografici come in quest, in cui racconto una storia vera anche i crimini devono essere veri. Si tratta delle persone che Pierrepoint ha giustiziato, come le Bestie di Bergen-Belsen, gli aguzzini nazisti. Di questi e altri assassini narro tutta la vita, l’ambiente in cui sono cresciuti, la famiglia, le amicizie e i processi nei dettagli. Voglio cercare di capire perché un individuo ha commesso delle atrocità”.
“Assassine, Coppie assassine, Amori crudeli e altri libri del genere raccontano la vita e i processi di criminali. Ho scritto però altri libri biografici: Donne pericolose parla delle spie donne della prima e seconda Guerra Mondiale; Darei la vita racconta le storie delle compagne dei geni; Angeli e carnefici mette a confronto coppie di donne nate lo stesso anno: una diventa una stella della scienza, cinema, danza, politica, e l’altra un’assassina. Sia nei romanzi che nelle biografie, la base da cui parto è sempre la Storia”.
“Ritengo che il modo di insegnare la storia nelle scuole sia sbagliato. I ragazzi si annoiano a studiare date e battaglie che dimenticheranno presto. Bisognerebbe concentrarsi sui personaggi, il loro carattere, le debolezze e le virtù, la loro vita privata. Gli studenti si appassionerebbero e allora ricorderebbero anche le date e le battaglie”.
“Quando scrivo un romanzo cerco un luogo affascinante da descrivere e dove andare a fare i sopralluoghi. Poi trovo un evento storico importante, magari dimenticato, intorno al quale costruire l’intreccio”.
“La parte più appassionante del mio lavoro di scrittrice è la ricerca storica. Oltre ai sopralluoghi, che mi permettono di raccontare il paese, il paesaggio, le atmosfere, il clima e la popolazione, leggo un’infinità di libri, anche rari, che parlano del luogo e dell’evento che ho scelto. A quel punto immagino la parte di fiction e faccio gli incastri. Voglio che anche i personaggi creati da me siano credibili e non in contrasto con i personaggi veri”.
“La professione di giornalista mi aiuta nelle ricerche, nelle indagini. Sono abituata a scavare per trovare aspetti inediti di un determinato argomento. Le interviste che faccio a delle persone possono aiutarmi a capire meglio il loro paese e gli eventi della loro storia”.
“Leggo circa trecento libri all’anno, alcuni per piacere e altri per lavoro. C’è stato un periodo in cui ho amato la narrativa italiana. Leggo libri francesi, inglesi, americani, nigeriani, cinesi, giapponesi. Amo la saggistica italiana”.
“Cerco di usare un linguaggio semplice, molti dialoghi, scene quasi cinematografiche e molto ritmo. Insegnando da tanti anni scrittura so come rendere un romanzo appassionante, senza lungaggini, noiose descrizioni e personaggi immobili. Nei miei romanzi c’è sempre il noir ma mai violento, non ci sono scene di sesso se non sfiorate, evito di fare “l’erudita” perché ho studiato tanto la materia”.
“Sono cresciuta con la passione per la parola scritta. Accanita lettrice tutta la vita, scrittrice in erba a otto anni con una commedia teatrale per parenti e amici (“Ladri, polizia e principesse”). Ho cominciato a collaborare alla Rai chiamata dal Prof. Walter Pedullà, che allora era consigliere di amministrazione della Rai e professore di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea, materia nella quale mi sono laureata con una tesi su Pavese traduttore di scrittori americani. Sono stata autrice di programmi culturali e poi Giovanni Minoli mi ha voluta a condurre lo spazio esterno di Mixer Cultura”.
“Ho amato la letteratura francese, russa, tedesca e molti autori americani. Qualche nome: James, Fitzgerald, Camus, Sartre, Gide, Zola, Maupassant, Dostoevskij, Melville. Fra gli italiani adoro Italo Calvino”.