“Cerco di allontanarmi completamente da me stesso. Non mi piace propormi. Mi piace nascondermi dietro i personaggi. Sono gli autori che vedono in me una possibilità di raccontare questa sfumatura, nel caso di Sorrentino sicuramente. Il cinema di Sorrentino è un cinema straordinario, in cui la componente della malinconia gioca un ruolo molto grosso. Però la malinconia non è un tratto distintivo del mio carattere, né intendo imporlo, probabilmente accade involontariamente”.
“Il teatro mi dà un grande equilibrio. Non mi vedo costretto ad accettare qualsiasi cosa. Se qualcosa non mi piace ho il teatro che occupa la mia mente, il mio tempo, le mie giornate. Sono un attore di teatro, recito mediamente duecento sere all’anno, tutti gli anni, in giro per l’Italia e per il mondo. Non concepisco il teatro come anticamera per aspettare che arrivi il successo cinematografico. Molti degli spettatori che vengono a vedermi al cinema mi hanno conosciuto proprio a teatro”.
“Sono cresciuto vedendo i più bei film sulla guerra, che non si limitavano a essere film di denuncia, ma entravano in profondità, anche nella complessità dell’animo umano. Due titoli: “Il cacciatore” di Michael Cimino e “Apocalypse Now”, veri capolavori che hanno formato la mia generazione”.
“Io cerco di risollecitare i valori emotivi e intellettuali di un testo per restituirli vivi in quel magnifico triangolo che si crea tra l’attore, il testo e il pubblico. La mia fedeltà è come quella dei grandi direttori di orchestra che si misurano con una sinfonia di Beethoven facendola propria, non però fino al punto da sconcertare il pubblico. Ma è anche come quella di un artigiano che ha come materia il testo, il corpo, il contatto con le proprie emozioni profonde”.
“Per un periodo ho studiato Psicologia alla Sapienza di Roma. Al secondo anno, mi sono presentato un po’ stanco a un esame. Il professore, un sacerdote, se ne è accorto e mi ha chiesto il motivo. Gli ho confessato che avevo fatto le prove di uno spettacolo fino a tardi. Mi ha detto: “Smetta con questi studi perché le ingombrano lo spirito”. E’ stato un buon consiglio”.
“Negli anni ’70 e ’80 mi sono formato vedendo opere televisive come “Berlin Alexanderplatz” di Fassbinder, “Twin Peaks” di Lynch, “Heimat” di Reitz, “Scene da un matrimonio” di Bergman”.
“La televisione è interessante soltanto per il racconto dell’Italia fatto da alcune inchieste giornalistiche. Nel settore della finzione non segue un obiettivo di approfondimento, come fanno cinema e teatro. Va per le spicce. Come tutto il Paese, che è precipitato nel burrone dell’ignoranza”.
“Al cinema tutto è nella testa del regista. L’attore, anche se si è preparato coscienziosamente, non sa quasi niente. Facendo un film capita di girare l’ultima scena il primo giorno di set e la prima scena uno degli ultimi giorni di lavorazione. Solo il regista sa cosa sta succedendo. Gli attori lo ignorano”.
“O cinema è ’o ’mbruoglio into ’o lenzuolo. Un’immagine, questa, che riporta ai primordi, quando il cinema era un lenzuolo steso in piazza. Gli spettatori si portavano le sedie da casa e parlavano di imbroglio nel lenzuolo per dire che non era una cosa vera. Il cinema per me è questo. L’autore dell’imbroglio è sempre il regista”.
“Tra i registi che amo di più ci sono: Tarkovskij Kieślowski, Sokurov, Rossellini, De Sica, Truffaut. I miei attori preferiti sono Robert De Niro e Al Pacino”.