“Non sono mai stato un maestro della chitarra. Semplicemente la suonavo o era lei a suonare me. Da ragazzo andavo a scuola, facevo i compiti e suonavo. Mi piace sperimentare nuovi suoni, accordi, riff”.
“Negli anni ‘60 ho preso parte alle registrazioni di dischi dei Kinks, The Who, Rolling Stones e numerosi altri artisti. Ho fatto parte degli Yardbirds. Poi ho formato i Led Zeppelin. Insieme al bassista John Paul Jones, al cantante Robert Plant e al batterista John Bonham, ho guidato il gruppo verso un viaggio nel blues, nel folk e in una nuova forma di rock che ha contribuito al cambiamento del pop”.
“Quando ero in studio con i Led Zeppelin registravo più chitarre insieme per orchestrare il suono, dargli colore, esaltando le sfumature, le luci, le ombre”.
“Plant, Jones, Bonham ed io sapevamo che la nostra musica sarebbe rimasta. Per questo motivo non pubblicavamo 45 giri, ma solo album. Offrivamo un concept, non cercavamo di soddisfare l’ansia del pubblico. Era questo che ci rendeva diversi. Ed è per questo che in quegli anni siamo riusciti ad ampliare gli orizzonti della musica”.
“Eddie Van Halen è stato l’inventore e il maestro del tapping. Quello che ha fatto è stato studiato, pensato e suonato con talento. Per quanto riguarda Joe Satriani e Steve Vai, la loro tecnica non va a discapito del feeling, li ho sentiti suonare anche del blues e lo hanno fatto molto bene”.
“La musica che amo, il blues, il rockabilly o l’hard rock, è basata sulla performance e sull’energia di un gruppo. Per me è molto più importante preservare questa caratteristica piuttosto che suonare da solo. Quando un gruppo sale sul palco e suona, come d’incanto si crea un gioco d’assieme. A quel punto non c’è bisogno di primedonne, l’importante è l’energia che riesce a sprigionare la squadra. Mi piace suonare i miei assoli, ma non voglio che gli altri musicisti facciano la parte dei gregari”.